Non è sempre facile capire come vengono percepite e gestite le richieste di adattamento provenienti dall’interno o dall’esterno di una struttura aziendale, o di un’attività di business in generale.
Molto più facile è comprendere cosa accade a un qualsiasi organismo vivente (e l’azienda è un ottimo esempio di organismo che vive e respira) che sceglie, più o meno consciamente, di non cambiare. Semplicemente si congela nell’immobilismo, lentamente si atrofizza e poi è destinato a estinguersi.
Eckhart Tolle ci insegna che non si impedisce il cambiamento semplicemente rifiutando ogni cambiamento: il cambiamento avviene comunque, fuori e dentro di noi, all’esterno e all’interno dell’azienda. O lo si gestisce, o lo si subisce.
Gli indicatori aziendali della resistenza al cambiamento
Come si fa a capire se la nostra attività soffre a causa di resistenze al cambiamento? Quali sono i sintomi di un rapporto problematico con l’adattamento, con la capacità di evolvere insieme alla realtà che la circonda? Vediamo insieme i due principali.
Il clima aziendale
Il dissapore serpeggiante tra le risorse che lavorano per te è sicuramente uno dei primi segnali del fatto che non stai rispondendo adeguatamente alle richieste di cambiamento, provenienti dall’interno. A monte del dissapore si trova una gestione inefficiente delle risorse, una bassa chiarezza nei ruoli e sopratutto di una leadership confusionaria o demotivante.
L’incremento del fatturato
Ultimo ma non meno importante indicatore della resistenza al cambiamento del nostro business, è la stagnazione del fatturato. Se negli ultimi cinque anni il trend del tuo fatturato è piatto o con una crescita minima, dovrebbe suonare un campanello d’allarme immediato. Voglio essere chiara: se una situazione del genere si protrae, ci si deve preparare a cambiare o a morire. Le leggi del business non sono quasi mai morbide, ma conoscendole e prendendone coscienza, le decisioni corrette sono più facili da prendere.
Come disinnescare la resistenza al cambiamento
Per disinnescare un meccanismo disfunzionale, bisogna prima di tutto conoscerne le cause.
Quali sono i motivi che ci impediscono di metterci in moto spontaneamente verso il cambiamento? Perché si sente a volte una naturale reticenza nei confronti delle piccole grandi rivoluzioni, personali o aziendali?
La teoria del cervello trino
Prima di tutto c’è da dire che un’azienda, pur essendo un organismo complesso, è composta da esseri umani, che vivono e collaborano e che hanno una personalità, un dna e attitudini peculiari. L’imprenditore è uno di loro e dà la direzione alla squadra. Può essere utile quindi per un leader comprendere quale tipo di naturale approccio ha verso il cambiamento prima di tutto personalmente, come singolo individuo. E in questo caso, per la prima volta ma di certo non per l’ultima, vi introduco all’affascinante teoria del Cervello Trino, o triune brain, introdotta dal neuroscienziato Paul MacLean e oggi ripresa da moltissimi scienziati, terapisti, coach e consulenti; uno tra tanti Alessandro Vella, a cui vi consiglio di far riferimento per un approfondimento dell’argomento.
Il nostro cervello è composto da tre parti che hanno ruoli molto diversi tra di loro e sempre strettamente interconnesse. A seconda di quale di queste tre parti è prevalente in noi, adotteremo determinati atteggiamenti e reazioni agli stimoli della vita, piuttosto che altri. Vediamo i tre cervelli a confronto.
Il cervello istintuale (o rettile)
Si tratta della parte più antica del cervello, che regola il primordiale istinto alla sopravvivenza, che scatta davanti al pericolo e che ci fa “cacciare” quando abbiamo fame.
È la parte più impulsiva, a volte anche irrequieta e impaziente.
Il venditore nato, per esempio, è colui che sa procacciare la “preda”, ovvero sa fare utili immediati e diretti, reagisce velocemente, sa “fiutare” l’ambiente e adattarsi alla situazione. Quello del venditore è solo un esempio di come una prevalenza del cervello rettile ci aiuti a cavalcare letteralmente alcuni tipi di situazioni, a volte ci spinge a reagire agli stimoli fin troppo istintivamente, con velocità e caparbietà, senza reticenze, in positivo o in negativo. Fornisce una forte adattabilità, un’elasticità spiccata di fronte al cambiamento, ma ci espone anche a un alto rischio di errore e inesattezza nelle stime.
Una forte prevalenza del cervello rettile sulle altre non ci metterà in difficoltà di fronte al cambiamento: gli stimoli servono anzi come propulsore principale per l’attività di questa antica parte del nostro organismo, pronta a scattare e adeguarsi alle differenti situazioni. Tuttavia, un’eccessiva predominanza del cervello rettile potrebbe anche causare un’attenzione non sufficiente per la visione d’insieme e per le strategie per progredire sul lungo periodo. Si tratta infatti paradossalmente della parte più conservatrice di noi: mira a preservarci in vita, quindi ci fa cambiare solo allo scopo di trovare un nuovo equilibrio conservativo, per tirarci fuori velocemente da una situazione di disagio o scontentezza e non per fini più lontani nel tempo o profondamente strategici.
Il cervello relazionale (o limbico)
È la parte del cervello sviluppata dai mammiferi per prendersi cura dei piccoli ed evolversi tramite l’evoluzione della propria comunità. È il cervello della squadra, dell’empatia, delle relazioni vincenti. È la sede delle emozioni, dello scambio tra individui e il suo scopo è farci sopravvivere come specie, oltre che come singoli.
Un coach è sicuramente dotato di una forte influenza del cervello limbico, per esempio. Ma anche chi si occupa dell’insegnamento, i trainer, tutto il personale medico e paramedico e chi si occupa in generale del prossimo.
Ma come reagisce il cervello limbico di fronte al cambiamento?
Con molta cautela e reticenza perché la stabilità del limbico proviene dalla certezza acquisita in passato. D’altro canto, il cervello limbico ci permette di non dimenticare gli errori, di portare con noi gli insegnamenti anche a livello inconscio. Quindi ci fa titubare davanti a situazioni già vissute se queste ci hanno causato sofferenza, ma ci permette anche di percepire la positività delle situazioni che evolvono in meglio.
Infine una persona con prevalenza del cervello limbico si preoccuperà sempre molto della stabilità delle relazioni durante un qualsiasi cambiamento: avrà una tendenza a diventare un po’ la “mamma chioccia” che tutela il gruppo. Questo potrebbe essere causa di rallentamento a favore della preservazione della sfera emotiva e l’equilibrio delle proprie persone.
Il cervello logico
Le sue funzioni hanno sede nella corteccia esterna del cervello ed è la parte che si è sviluppata più recentemente nell’evoluzione umana.
Il cervello logico pondera ogni azione in ottica strategica, cercando di inserire il particolare in un quadro generale di più ampio respiro. È la parte del cervello che fa confronti, che soppesa i pro e i contro di una decisione, che analizza le cause e cerca di prevedere ogni conseguenza delle nostre azioni.
È sicuramente la parte più evoluta del nostro cervello, quella che ci spingerà a fare meno errori di valutazione, ma è anche quella che, se non riequilibrata dalle altre, ci può portare allo stallo, all’immobilismo.
Valutare ogni dettaglio può diventare una gabbia dalla quale non riusciamo a uscire e questa gabbia rischia di essere il nostro peggior nemico nella spinta al cambiamento. Il cambiamento per chi ha un’eccessiva prevalenza del cervello logico, non fa esattamente paura, ma non viene affrontato in attesa di avere il quadro perfetto della situazione e dei possibili risvolti. E il quadro perfetto, si sa, probabilmente non è possibile da raggiungere.
Appurati quali sono i pro e i contro della prevalenza di ognuno dei tre cervelli che convivono in noi, abbiamo già più chiara quale può essere la nostra naturale propensione verso il cambiamento e il motivo per cui siamo più o meno veloci nel gestirlo.
Soprattutto questa consapevolezza ci può aiutare a comprendere quali sono i nostri automatismi dannosi, per riconoscerli e spegnerli.Altri fattori possono tuttavia impedire o rallentare l’adattamento al cambiamento dell’imprenditore. A volte si tratta di meccanismi fisici non del tutto palesi.
L’equilibrio biologico interno dell’individuo
Il nostro ego ha lo specifico compito di tenerci in vita, di preservarci.
Per questo motivo è tendenzialmente una mamma conservativa, che cerca di evitarci complicazioni, anche a costo di diventare un freno alla nostra evoluzione. In particolare tradotto in termini semplificativi, noi tutti abbiamo al nostro interno uno specifico e peculiare equilibrio neurologico e ormonale, che il nostro organismo e la nostra mente preferiscono preservare, per risparmiare energie.
A seconda della nostra personale storia, possiamo essere “assuefatti” agli ormoni dello stress (il principale è il cortisolo), oppure agli ormoni della felicità, come la serotonina. Nel primo caso, vivremo in un costante stato di allerta, di pericolo e anche i cambiamenti in positivo (che scatenano serotonina, appunto, quindi una novità non conosciuta all’organismo), ci sembreranno eventi da cui proteggersi e fuggire.
È quindi ovvio che se proprio è necessario essere dipendenti da qualcosa, è meglio esserlo rispetto a sostanze che ci fanno sentire naturalmente bene. Con l’esercizio fisico, una vita sana e le pratiche meditative, possiamo riallenare il nostro corpo, se si può dire, a un equilibrio più funzionale.Non solo i fattori interni contribuiscono al nostro rallentamento verso il cambiamento. Esistono anche influenze esterne molto forti che è necessario riconoscere e neutralizzare.
Gli individui demotivanti e le credenze limitanti
Tutti noi ci troveremo prima o poi di fronte a persone che tendono a gettare un’ombra nera su ogni iniziativa, su ogni proposta, a volte senza nemmeno aver raccolto informazioni sufficienti a poter essere obiettivi nel giudizio.
Sono persone di cui parleremo molto più nel dettaglio in futuro. Al momento accenniamo solo al fatto che di fronte al cambiamento, queste persone non solo non agiscono, ma cercano di trascinare lontano anche gli altri, portandoli in un ambiente solo apparentemente “sicuro”, fatto in realtà di paure e fughe continue.
Sono le persone demotivanti e se un imprenditore vuole evitare che la loro influenza negativa trascini in basso la sua attività e il suo business, deve imparare a riconoscerle, analizzare con oggettività la loro posizione e disinnescare la loro influenza controproducente.
Per altro, l’azione demotivante e frenante di queste persone agisce anche sui bambini, creando nella loro mente in pieno sviluppo ansie e paure, inibizioni e freni che agiranno sul lungo periodo, bloccando l’evoluzione dell’individuo.
Creano nel bambino e nell’adulto che diventerà le cosiddette credenze limitanti: modi di analizzare e concepire la realtà non basati su verità oggettive, ma su interpretazioni personali deviate e parziali.
È da queste credenze limitanti che il buon leader deve liberarsi, riconoscendole come tali e guardandone i limiti e l’insensatezza. L’alternativa è restarne succubi e bloccare il proprio cammino a causa di irrazionalità sepolte nel nostro inconscio.
Next Step: cosa fare per iniziare
Per iniziare da subito a invertire la rotta in caso di resistenza al cambiamento, è necessario ascoltarsi realmente e trovare tutti i punti critici a cui vi ho accennato nei paragrafi precedenti.
A volte il nostro cervello, le presenze demotivanti e le nostre credenze limitanti creano un brusio che sovrasta i nostri desideri e il nostro intuito, zittendoli e portandoci nella direzione sbagliata.
Ti lascio un consiglio pratico come cellula base per iniziare a prendere reale consapevolezza di te e del tuo business, per guidarlo razionalmente ed efficacemente nella direzione giusta. Da qui puoi partire nel tuo viaggio verso il cambiamento.
Trova un luogo calmo, dove poter stare da solo.
Siedi e cerca di abbassare il brusio nella mente, stai fermo, fai silenzio, respira lentamente.
Fatti una domanda e rimani in ascolto. A volte serve far quadrare i numeri, a volte serve ascoltare noi stessi.
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