Quali sono i problemi di cui si lamentano più spesso gli imprenditori?
E quali sono in realtà dei falsi problemi, o almeno delle raffigurazioni distorte che l’imprenditore ha dei fatti e alle quali attribuisce la colpa?
Nella mia esperienza come analista d’azienda, mi è capitato di sentir ripetere alcuni disagi da parte dei miei clienti, indipendentemente dalla natura del loro business, dal settore in cui operano, dalla dimensione della loro azienda.
Spesso le difficoltà sono oggettive e misurabili, altre volte le difficoltà sono inconsapevolmente create dall’imprenditore stesso che poi – sempre inconsapevolmente – assegna la responsabilità ai suoi collaboratori. Se da una parte questo è doloroso e fastidioso da comprendere, dall’altra è un vantaggio immenso, perché quando l’imprenditore prende coscienza di poter fare qualcosa per risolvere una situazione negativa che inizialmente attribuiva a eventi fuori dal suo controllo, questa consapevolezza gli restituisce le redini della soluzione. E la possibilità di crescere insieme alla sua azienda, anziché lamentare un contesto difficile.
Vediamo alcuni di questi problemi ricorrenti insieme e proviamo a ribaltare la prospettiva attraverso cui guardarli.
1. Devo fare tutto io
Quando tutti vanno a casa, quando l’orario lavorativo è terminato, oppure quando arrivi prestissimo in azienda al mattino e sei solo negli uffici, ti sorge un’esclamazione spontanea: “Oh, finalmente solo!” e senti che puoi iniziare a lavorare in pace.
Oppure quando sei con la tua famiglia a casa e sei contento di poterti ritagliare del tempo all’interno delle tue mura domestiche per sbrigare tutto ciò che è rimasto in sospeso.
O ancora quando non prendi neanche in considerazione l’idea di andare in vacanza durante quel ponte lavorativo che tutti hanno sfruttato, perché preferisci usarlo per lavorare in tranquillità.
Ecco: se ti ritrovi in queste situazioni è molto possibile che l’azienda si sia impossessata letteralmente della tua vita. Si è creato quindi uno squilibrio.
Non solo: sono anche casi classici che generano la lamentela da parte tua che si riassume nella frase “Devo fare tutto io!”.
Come insegna anche Alessandro Vella nel suo blog, “l’80% del tempo di un imprenditore è passato a gestire urgenze in prima persona e il 90% di queste sono urgenze che qualcun altro dovrebbe risolvere, al posto del titolare”. Questa è la vera lettura della situazione: il fatto che l’imprenditore si trovi a gestire urgenze e criticità, è sintomo del fatto che non sta delegando e non sta individuando i talenti giusti per fronteggiare le priorità.
Il tunnel delle urgenze è uno dei tuoi peggiori nemici e mina profondamente la tua produttività. Il prezzo che paghi è altissimo: emotivamente non hai tempo per te o la tua famiglia; strategicamente non hai tempo per dedicarti a mappare il futuro della tua azienda che vive in balia delle onde; managerialmente insegni ai tuoi collaboratori un metodo inefficiente di lavoro dove tu tappi i buchi che non dovrebbero essere creati a monte. Se un genitore continua a risollevare suo figlio da terra anche quando questo è grande e forte, quando mai imparerà a sollevarsi da solo?
Preferisci prendere in mano la situazione o lasciare che le urgenze auto-create ti portino alla perdita?
2. Non trovo collaboratori validi
Un altro annoso problema lamentato da moltissimi imprenditori, è la scarsità delle risorse umane valide.
“Non si trovano persone brave.”
“La gente non ha voglia di lavorare.”
“È difficile trovare collaboratori validi.”
Ti capita mai di ritrovarti a dire una o più di queste frasi? Nella mia esperienza i titolari di aziende si lamentano di non riuscire a trovare e selezionare collaboratori efficienti, che imparino in fretta, che si dedichino alle loro attività con coinvolgimento e responsabilità.
A seguito di un’indagine spesso emerge che l’imprenditore ha assunto persone non adatte al ruolo, senza un percorso di selezione scientifico e senza una strategia di inserimento e affiancamento che metta in grado la persona di portare risultati all’azienda. Si evince molto spesso che l’imprenditore non sa davvero di chi ha bisogno, non sa quali profili possono essere davvero utili alla sua struttura e procede per tentativi, provando a integrare diverse professionalità e passando per molti fallimenti.
Proprio come faccio con i miei clienti ti consiglio di procedere per fasi:
- Fai un’analisi profonda delle carenze di cui l’azienda sta soffrendo, per poter così comprendere di quali professionalità essa ha realmente bisogno;
- Traccia un profilo professionale specifico per ogni area che richiede supporto: vanno determinate con chiarezza le mansioni e quali sono i risultati attesi da ogni nuovo inserimento;
- Fai colloqui intrecciati con analisi scientifiche basate su comportamenti e temperamenti che fanno emergere i talenti e le predisposizioni operative;
- Crea strumenti di misurazione precisi dei risultati attesi;
- Mappa un percorso di inserimento ben chiaro.
Quali sono i tuoi attuali strumenti di selezione, inserimento e supervisione?
3. Devo ripetere le cose mille volte
“Te l’ho già detto un migliaio di volte!”
Ti capita mai di dover ripetere molte volte le stesse istruzioni e gli stessi concetti ai tuoi collaboratori?
Spesso i titolari tendono ad attribuire questa criticità alla scarsa validità dei loro collaboratori, al loro essere distratti o poco dediti alla causa. Ma anche questa è una falsa credenza.
Prima di tutto ogni leader deve conoscere individualmente i suoi diretti dipendenti per capire quale sia il metodo di approccio migliore alla loro natura. Bisogna dimenticare l’antico adagio “tratta gli altri come vorresti essere trattato tu” e abbracciare la regola “tratta gli altri come vorrebbero essere trattati loro”. Per fare un esempio: una persona con una forte propensione alla relazione, apprenderà molto più facilmente se chi le passa le informazioni adotta un approccio empatico e relazionale prevalente.
In secondo luogo, la necessità di intervenire con frequenti ripetizioni, è spesso dovuta a una mancanza di procedure e schemi condivisi per far fronte alle esigenze quotidiane: chi fa cosa, come, entro quando, producendo quali risultati. Queste sono le informazioni base sulle quali ogni collaboratore organizza la propria operatività.
Infine, è bene ricordare che nelle emergenze le persone sono più facilmente distratte con un alta possibilità di scivolare nell’ansia. In questi casi è facile dimenticare ciò che si sa e il metodo più efficace per contravvenire a questo è creare relazioni di fiducia e protezione che vanno sia in verticale che in orizzontale. Se ti smarrisci e hai timore a chiedere aiuto, compierai un errore (e magari lo nasconderai). Se invece hai la possibilità di chiedere al supervisore o al collega, l’errore e l’eventuale copertura dell’errore sono prevenuti.
In che modo stai creando vie di comunicazione in verticale e orizzontale per favorire l’indagine, le richieste di aiuto, i confronti e le risoluzioni?
4. La crisi
La crisi è il grande mantra negativo dei nostri giorni.
Troppo spesso incontro imprenditori che, a volte con costanza, a volte alternando periodi di cauto ottimismo, lamentano che la crisi ha messo in difficoltà la loro azienda e quindi adesso rilevano tantissimi problemi.
Come dice il grande Eckhart Tolle si può crescere solo al di fuori della nostra zona di comfort, cioè in quelle situazioni che rompono schemi a noi noti e per noi agevoli. Quindi la percezione che porta un cambiamento di contesto può essere un’occasione per migliorare la nostra struttura.
Quel che chiamiamo crisi è in realtà un cambio di contesto, che a livello sociale abbiamo tutti interiorizzato come un freno all’azione, ma è una credenza priva di fondamenti razionali, la maggior parte delle volte. Si innesca un falso meccanismo di causa-effetto, anche detto “post hoc, propter hoc”, ovvero “se qualcosa viene prima di qualcos’altro, vuol dire che ne è la causa”.
Gli imprenditori attribuiscono la mancata crescita del loro fatturato alla crisi, ma le due cose non sono correlate direttamente con un nesso causa-effetto. È, appunto, una credenza limitante.
È la struttura dell’azienda che non è riuscita ad adattarsi nella maniera adeguata alle nuove richieste, al cambio di mercato, ai nuovi strumenti e media, allo spostamento geografico della domanda o a simili variabili che nascono dal cambio di contesto.
Quali sono le azioni che hai intrapreso all’interno della tua azienda prima, durante e dopo la crisi? In che modo hai misurato e aggiustato il tiro?
5. Le procedure non funzionano
E qui in parte hai ragione, mio caro amico! A volte le procedure ti salvano l’azienda. A volte ti schiantano le persone. La sfida sta nel comprendere cosa è utile, dove e per chi.
Per permettere al flusso delle idee e delle soluzioni creative di scorrere con forza tra le tue persone, a volte devi rinunciare alle sovrastrutture e agli schemi preimpostati.
Soprattutto quando i team sono di dimensioni ridotte, impostare i meeting e le riunioni attraverso schemi rigidi, procedure fisse e predeterminate, blocca l’apporto delle singole persone.
Innesca piuttosto un ambiente di brainstorming e di problem-solving, dove si crea uno spazio di condivisione per cercare la soluzione migliore assieme. È molto più funzionale un approccio qualitativo, rispetto a quello quantitativo: lascia che le tue persone esprimano liberamente pareri, idee sullo stato delle cose, riflessioni personali, ipotesi di evoluzione. Lancia domande aperte su cosa pensano rispetto alla direzione intrapresa e non dare troppe informazioni su cui preformarsi un’idea.
Less is more, in questo caso, perché le strutture aziendali odierne sono spesso molto complesse e per “sciogliere” i nodi della complessità, spesso è necessario sottrarre freni e percorsi precompilati, in modo da evitare colli di bottiglia e reticenze.
Se non vuoi far deperire la tua azienda nell’immobilismo, lascia libere le redini della creatività e dell’opinione quando è necessario.
La teoria del cervello trino
Per spiegare come i diversi imprenditori affrontano questo tipo di problemi ricorsivi, torniamo a parlare della teoria affascinante e rivelatrice del cervello trino.
La prevalenza inconsapevole di un cervello sugli altri due, come abbiamo già detto, è molto pericolosa. Vediamo perché.
Il cervello rettile
Un imprenditore che ha prevalenza del cervello rettile e che però ha anche preso coscienza di questa sua natura, passerà velocemente all’azione dopo aver osservato il problema, analizzando la realtà ed entrando nella fase del “fare” con lucidità e consapevolezza e non per paura o reazione istintiva.
Un cervello rettile consapevole è un’arma potentissima per arrivare a un risultato ottimale nel minor tempo possibile.
Se l’imprenditore con prevalenza di cervello rettile, invece, non ha preso consapevolezza ancora interamente della sua natura e non ha imparato a gestire la sua parte istintiva attraverso l’apporto degli altri due cervelli, tenderà a colpevolizzare gli altri, a irrigidirsi e fuggire la realtà o attaccare i collaboratori, anche con uno stile comunicativo aggressivo e intollerante.
Il cervello limbico
Come reagisce un cervello a prevalenza limbica davanti ai problemi di cui parliamo in questo articolo?
Dipende anche in questo caso dal suo stato di consapevolezza.
Un cervello limbico che abbia preso coscienza di sé e dei suoi potenziali limiti, cerca di proteggere la relazione con le altre persone e a preservare l’azienda come squadra, attingendo però anche alla sua parte rettiliana per evitare l’immobilismo e passare all’azione. Questo tipo di imprenditore avrà il vantaggio di agire con decisioni di natura “win-win”, quindi di portare avanti un sistema di relazioni, oltre che il fatturato.
Un cervello limbico invece poco consapevole di sé, sacrificherà la strategia e anche l’azione a favore della relazione umana. A volte per cambiare una situazione non produttiva è necessario confrontarsi anche schiettamente con gli altri e questo può innescare meccanismi di attrito e conflitti. Il cervello limbico cerca di evitare questo tipo di spiacevolezze fino all’ultimo, rischiando un freno e un immobilismo molto pericolosi.
Il cervello logico
Il cervello logico evoluto, che ha preso coscienza di sé, avrà anche raccolto tutte le informazioni necessarie ad avere un’analisi chiara e dettagliata della situazione e userà tutte queste sue conoscenze, il confronto con il prossimo e con il contesto per prendere una decisione ponderata ed efficace. In questo modo, per altro, si passa nella fase del “fare” con molti meno rischi rispetto a quello che accade con cervelli a forte prevalenza rettile.
Un imprenditore con cervello logico meno consapevole di sé, invece, rischia di bloccarsi in un immobilismo fatto di ipotesi, dati che si rincorrono e informazioni che si auto-annullano. Molto spesso chi vive “intrappolato” in un cervello troppo logico, trascina in una stasi mortale la sua azienda perché teme le conseguenze a lungo termine delle proprie decisioni. Il tentativo di prevedere ogni effetto delle proprie azioni, di sopravvivere nel tempo, di evitare conflitti e rotture sul lungo periodo, crea cristallizzazioni che uccidono letteralmente l’evoluzione delle aziende.
Next Step: cosa fare per iniziare
Qual è il problema di cui ti lamenti più frequentemente?
Sei sicuro che quello sia il problema effettivo oppure, a fronte di ciò che hai letto, puoi intuire una causa alternativa al manifestarsi di questo problema?
Ti consiglio di prendere in analisi ciò che ti appesantisce di più in azienda e di fare un’indagine per capire quali possono essere le cause dietro le quinte. Quando le avrai identificate, scava ulteriormente e cerca di identificare le cause ancora più profonde.
I migliori imprenditori che conoscono sono dei veri e propri detective all’interno delle loro aziende. Sanno che dietro a ogni cosa ce n’è sempre un’altra da scoprire e gestire.
Buona indagine, quindi!
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